Architetto Tullio Pojero


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I parchi della Campania

Pubblicazioni > Il giardino nel tempo


I NUOVI PARCHI URBANI DELLA CITTÀ' DI NAPOLI


I parchi urbani di Secondigliano, Barra e Colli Aminei rientrano nel programma di riqualificazione e recupero urbano voluto dall'amministrazione comunale di Napoli sin dalla metà degli anni Settanta. Il terremoto e la conseguente legge 219/81 hanno permesso che si accelerassero le fasi operative della programmazione prevista.
Qualche anno prima, nel 1978, gli studi sulla periferia e sul centro storico di Napoli avevano messo in luce le carenze, la fatiscente e il degrado urbano dell'edilizia, sia speculativa che di memoria storica.

Due anni dopo, nel 1980, fu varato un programma per intervenire con efficacia in tali aree, con il cosiddetto piano delle periferie.

Prima della legge 219/81, le indicazioni di cui si disponeva per un intervento pubblico erano costituti dalla legge 167 del 1962 relativa ai piani di zona per l'edilizia economica e popolare e la 457 del 1978, nota come legge sul piano decennale per l'edilizia, che specifica le categorie d'intervento, nel campo del recupero urbano.
Pertanto il Comune di Napoli individuò alcune zone da recuperare all'interno dei casali che, fino al 1926, data in cui entrarono a far parte dei confini amministrativi della città di Napoli, diventandone periferia, avevano avuto una propria autonomia economica e amministrativa. L'analisi condotta costituì lo strumento attraverso cui intervenire sul territorio, sia nel recupero che nella realizzazione di nuova edilizia.

Dall'indagine dei luoghi si evinse che, oltre ai gravi fenomeni di fatiscente, spesso ci si trovava di fronte ad indici di affollamento estremamente elevati. Vi era la quasi totale mancanza di strutture per le attività sociali e, in modo particolare, di aree destinate al verde, di piazze, di impianti sportivi e di altre infrastrutture.
Questo perché si era alterato l'equilibrio fra l'ambiente. di cui le attività agricole erano una componente fondamentale. e la residenza in seguito al piano regolatore del 1939.

Tutto ciò comportò, da parte dell'amministrazione comunale, l'approvazione del sopra citato piano delle periferie del 1980, con cui l'intervento pubblico tendeva alla realizzazione di attrezzature di quartiere ed al riequilibrino degli standards urbanistici, in relazione al D.M. 1444,'68, che imponeva 18 mq/ab. di attrezzature per quartiere. Tale parametro fu innalzato a 24 mq/ab. dalla Regione Campania.

Gli spazi verdi, fra cui i tre parchi di Secondigliano, Barra e Colli Aminei, significativi per dimensione e tipologia, assumono per la prima volta un ruolo di rilievo nei progetti urbani per Napoli. Una così ampia programmazione prevedeva sia la realizzazione di un piano di recupero del patrimonio storico della periferia - attraverso il restauro ed il ripristino di intere quinte urbane - sia la costruzione di edilizia nuova con la dotazione di strutture sociali sul territorio (scuole, uffici postali, ecc.), sia la creazione di aree verdi. Ed è nell'ambito di tali tipologie d'intervento, che nei dodici comparti di zona, in cui è stata suddivisa la periferia, sono stati sperimentati e realizzati parchi di quartiere e parchi urbani, secondo un programma teso al riequilibrino fra le volumetrie degli edifici e le aree verdi.
Dopo la realizzazione del parco di Barra, affidata a vivaisti, nell'ambito del convegno che si tenne nell'aprile del 1987 sul tema dei parchi e l'ambiente, emerse l'esigenza di servirsi nella progettazione dei parchi di specialisti del settore, e della collaborazione di esperti in botanica, stabilendo una convenzione con la Facoltà di Agraria di Portici.

Ne seguì una seconda generazione di parchi, progettati da specialisti: l'architetto Dardi e il professore Ippolito Pizzetti furono impegnati nel parco di Pianura; gli architetti Fioravanti, Bruschi e De Folly e lo stesso Pizzetti furono attivi nel parco di Secondigliano.
I parchi urbani di Secondigliano, Barra e Colli Aminei vanno ad inserirsi in situazioni di forte degrado urbano, definendo tipologicamente le aree, che il più delle volte si presentavano fortemente disomogenee con il contesto.

PARCO TROISI (BARRA) - NAPOLI

Il parco (mq 155.000), come quello di Scampia, è stato inserito in uno spazio urbano caratterizzato per la maggior parte da edilizia residenziale. La zona, prima della realizzazione delle recenti costruzioni, era priva di attrezzature scolastiche. sportive, collettive e di aree verdi.
Il parco Troisi, tra i primi realizzati.. è stato terreno di sperimentazione delle direttive generali di progetto dell'amministrazione straordinaria. Sono state previste la recinzione continua per migliorare il controllo gestionale, la manutenzione ed i molteplici ingressi che connettono il parco con le altre funzioni urbane.

Le superfici pavimentate, molto contenute, svolgono talvolta funzione semidrenante e i limitati volumi architettonici
fuoriterra svolgono le funzioni di deposito per gli attrezzi della manutenzione o per la gestione ed il ristoro. L'area del parco, di circa 120.000 mq è per la maggior parte pianeggiante; l'unica variazione altimetrica è dovuta ad una piccola collina. Le specie arboree sono state combinate insieme in diverse maniere: costituiscono piccole masse, che variano per specie e dimensioni, oppure sono abbinate agli arbusti.
L'ingresso del parco è segnato dalla presenza di un laghetto artificiale che occupa 1/4 dell'intera superficie. Altri elementi particolari all'interno del parco sono la serra, memoria storica del luogo, e la sopra citata collinetta, che sono poste sullo stesso asse.
Gli assi che si possono ritenere importanti sono due, quello longitudinale, che collega l'area della collina e la serra sul fronte opposto, e il percorso che lo interseca, che dall'ingresso prosegue parallelo ad uno dei lati del laghetto. A lato di tale percorso si dispongono aiuole con fiori ed alberi, per lo più pini, mentre dall'altro lato si snoda un semplice filare di palme.
Nelle aree pianeggianti vi sono piccoli assembramenti di diverse specie arboree: pinus pinea, corbezzoli e ulivi, allori e aceri pseudoplatani, ai cui margini talvolta sono collocati degli arbusti, oppure filari di palme. I pini e i corbezzoli sono concentrati in piccoli gruppi isolati.
La scalinata che conduce alla piccola collina, da cui si può avere una visione complessiva del parco, è costeggiata lateralmente da diverse specie arboree: albero del tulipano, falso pepe, leccio, pioppo tremulo, acero pseudoplatano, ontano napoletano e altri ancora.
La vegetazione della collinetta è formata dalle stesse specie arboree sopra elencate a cui si aggiungono corbezzoli e qualche carrubo.




PARCO DEL POGGIO – NAPOLI

Il Parco è sito ai Colli Aminei, luogo che, geologicamente di prevalente tufo giallo, costituisce una sella di collegamento delle colline di Capodimonte e dei Camaldoli.
La vocazione dell'area su cui è stato realizzato il Parco risale all'età romana. Ciò è testimoniato dalla presenza di un colombario il cui materiale è stato utilizzato in alcune ville costruite nei dintorni.

Agli albori del Rinascimento sulla collina si realizzarono edifici agricoli tra cui la Masseria della famiglia Pomarina la cui tenuta dai Colli Aminei giungeva fino alla Sanità e costituì il primo nucleo dell'edificio dei Padri Rogarionisti. Nei primi anni del XVI secolo i terreni furono acquistati dai Domenicani di S. Caterina a Formello che li tennero fino al 1806.
Con la soppressione dei monasteri la masseria, acquistata dal duca di Gallo, fu trasformata in una splendida villa. Quest'ultima fu ceduta al conte Del Balzo il quale, a sua volta, la vendette al marchese dei Medici verso la fine del 1800, epoca in cui cominciò il suo degrado.
Negli anni Sessanta del secolo scorso il territorio è stato in gran parte devastato dalle costruzioni. È andato perduto anche il colombario romano ma, fondamentalmente, gran parte dell'area non è stata invasa da costruzioni edilizie, rendendo possibile la realizzazione del parco attrezzato, progettato dal Comune di Napoli su di un suolo degradante verso una suggestiva veduta della città. Per la sua forte pendenza si snoda con vari percorsi sinuosi che consentono la fruibilità anche ai disabili. Terrazzamenti a belvedere, una via dell'acqua che termina in un laghetto, viali coperti da pergolati, scalinate ed ampie aree a prato, consentono piacevoli passeggiate per tutto l'arco dell'anno. I materiali usati sono quelli tradizionali: tufo giallo, legno, mattoni rossi, piante della macchia mediterranea. Si contrappone, pertanto, ad un disegno piacevole, il mancato uso di materiali di produzione contemporanea che avrebbero dato al progetto una qualità innovativa.




HORTUS CONCLUS – BENEVENTO


Nel centro del centro antico di Benevento, tra le mura e le chiese di epoca longobarda, nel 1992 è stato aperto al pubblico uno spazio verde in origine ex convento domenicano del XIII secolo, oggi sede universitaria.
L'Hortus Conclusus è un'installazione dell'artista Mimmo Paladino, esponente della Transavanguardia Italiana, realizzata nel 1992 insieme all'architetto Roberto Serino nel giardino del Convento di San Domenico a Benevento. L'Hortus si apre in fondo al Vico Noce, accessibile dal Corso Garibaldi.

L'Hortus Conclusus è cinto in parte dalle strutture del convento, per il resto da muri che si ispirano alle vere mura di Benevento di epoca longobarda, in mattoni ma con inserzioni disordinate di pietre e bronzi. Stesso discorso vale per la pavimentazione, che ricorda quella dei vicoli storici dei paesi del beneventano.
L'hortus conlusus è giardino-museo dove ogni percorso è una sfida all'interpretazione più varia. L'hortus, in quanto conclusus, è un luogo segreto e protetto, dove gli asceti, isolati dal mondo, possano avvicinarsi a Dio tramite la meditazione, raggiungendo la conoscenza contemplativa. L'hortus conclusus è il modello dei giardini dei monasteri: quadrangolare a simboleggiare i quattro angoli dell'Universo, con al centro un albero che simboleggia la vita, e un pozzo o una fonte che simboleggia la sorgente della conoscenza.
Paladino vuole che l'Hortus sia un luogo di conforto per la continua lotta che l'uomo vive nel mondo concreto come nella propria interiorità, in cerca della pace. Esso è un invito a intraprendere un personale "percorso della memoria", volto a riscoprire il proprio passato e quindi se stessi. La pace auspicata dall'uomo si riflette nella ricerca dell'armonia fra natura e storia, e fra le varie epoche storiche. Mimmo Paladino esprime il suo messaggio usando e reinterpretando i linguaggi artistici del passato, e mette in luce i tratti in comune fra di loro. L'Hortus Conclusus è ricco di elementi che si rifanno al mito, e alla storia sannitica e longobarda di Benevento, non trascurandone l'aspetto più quotidiano e, in parte, familiare.
Fra le opere dell'artista fanno comparsa pezzi di colonne, capitelli, frontoni, che accentuano il rimando alla storia della città. Inoltre, come accennato, è molto importante il verde, che legittima il nome di hortus. Fra gli alberi, il giglio, la rosa e la palma, simboli rispettivamente: del sangue divino, della purezza e della gloria

Secondo le leggende l'area in esame è situata in un vicolo cieco nelle vicinanze dell'antico convento, all'imbocco del vicolo si trovava un grande albero di noce sotto il quale le streghe solevano riunirsi per celebrare riti esoterici per accedere all'hortus conclusus (giardino chiuso), dove il tempo e lo spazio reali restano fuori, un luogo che potrebbe definirsi “nel tempo della vita”, ma che ha il potere di portare il visitatore al di la del tempo. Gli stessi ulivi, castagni, noci, cipressi, agavi, assumono significati scultorei e si insericono perfettamente nell'allestimento dello scultore Palladino.

Ogni elemento nel giardino come una panchina di pietra con le sue raffigurazioni è un'opera dello scultore dove è possibile sedersi ed allo stesso tempo ammirare lo spazio circostante. Proseguendo nel giardino è possibile ammirare sulla recinzione di confine un grande cavallo di bronzo che dall'alto domina lo spazio. Il Cavallo di bronzo, elemento ricorrente nelle opere di Paladino, che si erge su di un muro di cinta, e che sembra dominare da un lato sull'Hortus, dall'altro sulla parte bassa della città. Il cavallo porta una maschera d'oro come quella di Agamennone che lo rende quasi divino, e sembra evocare il mito del cavallo di Troia. Inoltre esso è tradizionalmente il compagno dell'uomo nelle battaglie.
Nel giardino le fontane e quindi l'acqua è un elemento importante nella composizione, per i motivi già specificati e perché con il suo rumore sottolinea il silenzio e il fluire delle riflessioni. Tra queste è particolarmente interessante una di forma umanoide, con delle lunghe braccia protese sulle quali sbocciano piccole teste. Ancora teste si trovano sull'Ombrello capovolto, ed altre autonome: una umana dalle lunghe corna ed alcune di cavallo. Ancora, una Conchiglia ed un Teschio di bue, simili a fossili, si rifanno alla storia di Benevento.

La pavimentazione del giardino anch'essa opera dello scultore Palladino, è una scacchiera irregolare di grandi e piccole pietre che attraverso un gioco di linee è possibile ammirare come d'incanto il grande disco solare. Il disco di bronzo che affonda nella pavimentazione e simboleggia la caduta del mitico meteorite sulla terra, e quindi il passaggio dall'era dei dinosauri a quella dell'uomo, induce alla riflessione.

Sul fondo del giardino si trova una struttura architettonica rossa, sotto la quale si trovano un'altra fontana con una grande vasca ed sulla parete una maschera osserva lo spettatore e allo stesso tempo invita l'ascolto dell'acqua.

Sopra la struttura vi è un terrazzo pavimentato in coccio, cui si accede tramite un corridoio: qui si trova una sorta di Totem in pietra che cinge una testa di serpente che rievoca la sapienza. Dalla terrazza si percepiscono varie visuali dal giardino ai tetti del centro storico ed il tutto diventa un caleidoscopio di immagini e di suoni tra antico e moderno.
Se il cavallo sul muro di cinta rappresenta la conquista della vita, la morte è evocata dalla scultura che reca sulle lunghe braccia piccoli teschi, uno in fila all'altro, come dire che il ciclo della vita include quello della fine. Lo stesso ombrello capovolto che raccoglie l'acqua piovana e le foglie, suggerisce un certo abbandono agli eventi.


L' hortus conclusus diviene una scoperta continua dove ogni elemento, ogni piccolo particolare emerge allo stesso tempo dalla terra e dalle architetture del luogo, spesso è difficile poter cogliere tutte le sculture con un solo sguardo. Lo spazio rappresenta la ricerca dell'uomo con lo spazio esterno, e allo stesso tempo la ricerca di se stesso.



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